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“Gambe a brandelli e l’anima pure. Quella puttana della leucemia”

La lettera di Sergio Mari

Andrea Fortunato
Cominciavamo a romperci tibie, peroni e sogni che avevi; partite perse già vinte, però di noi calciatori si diceva sempre: fortunati.
Era vero!
Vabbè, ma tutti gli strappi, i graffi, gli sputi e gli schiaffi che abbiamo preso?
E i pugni e i crampi, i calci e i tendini saltati e il cervello pure?
– Ma va a quel paese! Ma di che ti lamenti? – questo è quello che abbiam sempre sentito.
Ma io dico: e il gesso, gli schemi alla lavagna, le sovrapposizioni, come mettere dentro i palloni, le diagonali da fare, gli assegni da prendere e mettere in tasca, ma spesso vuoti e cosi’ anche le tasche.
Col tempo avevamo le gambe a brandelli e l’anima pure; pali, gol fatti e annullati, cuore che scoppia, incroci sfiorati,
– Ma vai quel paese! – continuavamo a sentire.
E noi: No, no, va tutto bene, sicuro, tranquilli! Fa parte del gioco, è vero, avete ragione. Lo giuro!

Ma vite così – puff! – che all’improvviso sono andate via, no! Non te l’aspetti. Anche voi non ve l’aspettate, vero?
Che ti fa gol la vita, che manco una partita di ritorno ti concede questa, non un minuto di recupero ti regala.
Fortunato io, certo, ma culo per Andrea niente però!
Che se lo mangiava il campo, su e giù per quella fascia, uno spettacolo Andrea; che lo fischiavano a Torino, quel terzino che “A donne va! Che la troia se lo sta spolpando il fluidificante; per due mesi se l’è fottuto, scopato, chiavato, la puttana!”.
Scoperto il nome di questa, però, nessuno fiatò. Silenzio, che la porca, la zoccola, leucemia si chiamava.

Ciao Andrea.

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