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Report Federcepi costruzioni sullo stato del patrimonio edilizio in Italia

Il presidente Antonio Lombardi: “Rilanciare misure di sostegno per riqualificare e rendere sicure le città: una sfida urbanistica, economica, ma anche sociale”

Alfonso Maria Tartarone

I recenti crolli di edifici vecchi e fatiscenti, che fortunosamente non sono culminati in tragedie e non hanno fatto registrare vittime, ripropongono l’urgenza di intervenire sul patrimonio edilizio italiano, spesso vecchio e fatiscente.
Molte abitazioni ed edifici sono stati costruiti diversi decenni fa e non sono stati adeguatamente mantenuti o ristrutturati nel corso degli anni. Ciò ha portato a problemi strutturali, infiltrazioni d’acqua, danni alle facciate e agli interni, e persino – come insegna la cronaca non isolata delle scorse settimane – a crolli. Questa situazione rappresenta una minaccia per la sicurezza degli occupanti e mette anche a rischio un prezioso patrimonio storico, architettonico e culturale del paese. Quasi la metà degli immobili siti sul territorio nazionale andrebbero ristrutturati e riqualificati, sia dal punto strutturale che energetico. Dei 12,2 milioni di edifici residenziali censiti dall’Istat nel nostro paese, il 60% (7,2 milioni) ha oltre i 40 anni di vita e risale al periodo anteriore il 1977, anno in cui per la prima volta sono state introdotte norme antisismiche e sull’efficienza energetica in edilizia. 5,2 milioni (42,5%) hanno più di 50 anni.
Le abitazioni realizzate prima del 1970 e quindi strutturalmente ed energeticamente inadeguate rispetto alle normative emanate successivamente, sono oltre 18 milioni.
Le regioni più problematiche in questo contesto sono quelle del Sud Italia con la Basilicata in testa che vanta il patrimonio immobiliare più datato, seguita da Sicilia, Campania e Abruzzo.
Al Nord invece primeggiano Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, dove il 31% delle abitazioni ha oltre i 40 anni.
La scarsa incisività (o, con particolare riferimento al Superbonus 110%, la breve durata) di politiche di sostegno al contenimento del consumo energetico, alla ristrutturazione e alla messa in sicurezza, farà sì che il patrimonio immobiliare italiano scenda vertiginosamente di prezzo nei prossimi anni e continuerà. a disperdere un’enorme quantità di calore in atmosfera. Con le conseguenze facilmente immaginabili sulla bolletta energetica nazionale, ancora fortemente dipendente dagli approvvigionamenti esteri.
Ristrutturare e riqualificare gli edifici anche al fine di contenere il rischio sismico, potrebbe voler dire, oltre che preservare l’incredibile e ricco patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale del paese, anche risparmiare su consumi energetici, ma soprattutto sul consumo di suolo che nel nostro paese è stato spregiudicato (come dimostrano ulteriori e gravi fatti di cronaca: episodi alluvionali catastrofici, smottamenti, frane).
Questa è l’istantanea della situazione attuale, da cui emergono due questioni direttamente collegate alla vetustà del patrimonio immobiliare nazionale: quella dell’efficienza energetica degli edifici e quella della sicurezza statica legata alla sismicità del territorio nazionale.
Per quanto riguarda i rischi naturali la correlazione tra età degli immobili e minore sicurezza
statica emerge dai dati. Secondo la classificazione sismica dei comuni italiani, circa il 40% del territorio nazionale (130mila chilometri quadrati) e il 35% dei comuni italiani (2.765) si trovano in area a elevato rischio sismico (zona 1-2). In queste aree risiedono 22 milioni di persone, 9 milioni di famiglie e si trovano oltre 6 milioni di edifici di cui oltre 1 milione a uso produttivo con 5 milioni di addetti. Altri 19 milioni di cittadini risiedono, invece, nei comuni classificati in zona 3; zona non rossa, ma che non può certo considerarsi sicura.
A questi si possono poi aggiungere 1,3 milioni di edifici a rischio alluvione e oltre mezzo milione di edifici sono a rischio frana.
Più del 50% del totale dello stock abitativo è stato costruito prima del 1974 e quindi in completa assenza di una qualsivoglia normativa antisismica.
Servirebbero almeno 300 miliardi per mettere in sicurezza il patrimonio residenziale italiano. “Questi dati evidenziano in maniera evidente – commenta il presidente di Federcepicostruzioni,
Antonio Lombardi – come gli interventi di riqualificazione sugli edifici italiani, non riguardano soltanto sicurezza, risparmio energetico e staticità antisismica: tutti aspetti comunque di enorme rilevanza. Ma toccano anche la qualità della vita e costituiscono una nuova e innovativa trasformazione e modifica dell’esistente. Ogni operazione edilizia, del resto, come dimostrato anche dal Superbonus 110%, qualunque siano dimensioni e localizzazione, riporta effetti più o meno incisivi sul territorio di riferimento, e quindi sul relativo tessuto economico e sociale”.

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