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Fabrizio Gifuni al teatro “Verdi” di Salerno

"Con il vostro irridente silenzio", 21 febbraio alle ore 20

Alfonso Maria Tartarone

Aldo Moro durante la prigionia parla, ricorda, scrive, risponde,
interroga, confessa, accusa, si congeda. Moltiplica le parole su
carta: scrive lettere, si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di
partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi disposizioni
testamentarie. E insieme compone un lungo testo politico, storico,
personale – il cosiddetto memoriale – partendo dalle domande poste
dai suoi carcerieri.
Le lettere e il memoriale sono le ultime parole di Moro, l’insieme
delle carte scritte nei 55 giorni della sua prigionia: quelle ritrovate
o, meglio, quelle fino a noi pervenute. Un fiume di parole
inarrestabile che si cercò subito di arginare, silenziare, mistificare,
irridere. Moro non è Moro, veniva detto.
La stampa, in modo pressoché unanime, martellò l’opinione
pubblica sconfessando le sue parole, mentre Moro urlava dal
carcere il proprio sdegno per quest’ulteriore crudele tortura.
A distanza di quarant’anni il destino di queste carte non è molto
cambiato. Poche persone le hanno davvero lette, molti hanno scelto
di dimenticarle.
I corpi a cui non riusciamo a dare degna sepoltura tornano però
periodicamente a far sentire la propria voce. Le lettere e il
memoriale sono oggi due presenze fantasmatiche, il corpo di Moro
è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di​
ombre.
Dopo aver lavorato sui testi pubblici e privati di Carlo Emilio
Gadda e Pier Paolo Pasolini, in due spettacoli struggenti e feroci,
riannodando una lacerante antibiografia della nazione , Fabrizio
Gifuni attraverso un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia si
confronta con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia.

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