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Settantanove anni fa Salerno conosceva l’orrore della guerra

“Settantanove anni fa, la città di Salerno conobbe da vicino gli orrori della guerra”. Si legge nel post del Museo dello Sbarco e Salerno Capitale che ripercorre un periodo storico importante delicato della storia della città capoluogo. “Il 21 giugno 1943, a Salerno la guerra e’ sentita ancora lontana, la giornata quasi di piena estate ha invogliato molti salernitani ad affollare i lidi della città, pochi sono coloro che alle 13,15 si recano nei malsicuri rifugi in risposta al lacerante suono della sirena, che per ben sei volte annuncia una probabile incursione aerea. Nemmeno l’episodio della sera precedente preoccupa i salernitani: il “bonario” ricognitore “Ciccio ‘o ferroviere”, che ormai da giorni alle dieci di sera sorvola la città, ha sganciando una bomba sulla stazione facendo la prima vittima. Al rombo di una possente formazione aerea di B17 americani, tutti si voltano verso l’alto a valutarne la consistenza e immaginare la probabile direzione, commentando la triste sorte delle città, in particolar modo Napoli, che sarebbe potuta essere obiettivo del bombardamento; ma questa volta l’obiettivo è Salerno. Vengono pesantemente colpite la zona della ferrovia, le colline di Giovi ed il Sanatorio, anche se sul tetto sono state dipinte delle grosse croci bianche, che ne significano la sua funzione. E’ bombardata la caserma Umberto I tra Corso Vittorio Emanuele e Corso Garibaldi, che ospita giovani reclute. 120 soldati italiani muoiono, alcuni sotto le macerie della caserma, altri, mentre fanno ritornano da una esercitazione, mitragliati a bassa quota sulla strada nella zona “Gelsi rossi”. Il panico e la disperazione sono enormi e la notte, quando l’ordine e la calma sembrano ristabiliti, il lugubre suono delle sirene, poco dopo mezzanotte lacera il silenzio. La città viene illuminata a giorno da migliaia di bengala ed i bombardieri inglesi ad ondate successive, per circa un ora infieriscono sulla parte centro orientale della città, distruggendo la caserma Umberto I, il pastificio Scaramella e civili abitazioni. Le prime luci del giorno successivo mostrano un paesaggio ovviamente sconvolto; i soccorsi sono molto solleciti e tutti cooperano all’estrazione dei corpi dalle macerie ancora fumanti e i molti feriti con carretti di fortuna vengono trasportati agli Ospedali Riuniti di via Vernieri, ove il personale tutto , dai medici agli infermieri alle suore, encomiabilmente al loro posto, prestano la loro preziosa opera. Il triste bilancio è alto: 6oo morti. Solo dopo queste prime incursioni aeree la difesa viene rafforzata da alcune batterie da 75/49 “Vickers”,che sono collocate: una a Vietri sul Mare, un’altra a Brignano, una terza a villa Tisi ed una quarta a Battipaglia; il comando viene sistemato presso l’orfanatrofio Umberto I di Salerno. Queste batterie, secondo la testimonianza del tenente Guido D’Aniello, aiutante maggiore del ‘XXVII Gruppo Artiglieria Contraerea’ di cui queste batterie fanno parte, non hanno grossa incidenza nella difesa dai bombardamenti successivi a causa dello scarso munizionamento, dovuti al fatto che i cannoni contraerei sono preda bellica”.

“Ed inizia per i salernitani il calvario dello sfollamento; ognuno, sentendosi oramai insicuro in città, pensa di andar via rifugiandosi in campagna, nei paesi vicini, presso parenti ed amici. La città durante il giorno è semivuota; solo alcuni uffici sono funzionanti e gli impiegati raggiungono il posto di lavoro, dalla campagna, ove sono sfollati, con lunghi percorsi a piedi; le attività commerciali sono ridotte al minimo indispensabile. Questa parvenza di vita scompare del tutto dopo i furiosi bombardamenti del 21 e 23 luglio e del 19, 22, 23, 27 e 31 di agosto, che aggiungono altri lutti e distruzioni alla già martoriata città. Vengono danneggiati quasi i due terzi delle abitazioni, per lo più nella zona nuova, il centro storico, stranamente, non viene quasi toccato (solo a San Giovanniello cade una bomba) e per questo motivo viene soprannominato dal popolo “la Città del Vaticano”. Dalla fine di agosto Salerno è completamente abbandonata da tutti, comprese le autorità civili e gli unici che restano al loro posto sono i sacerdoti. A tal proposito è interessante ricordare che il 3 settembre l’Arcivescovo Primate Nicola Monterisi riunisce il clero ordinando ad esso di restare al proprio posto a guardia dei luoghi di culto e delle case, che abbandonate dai parrocchiani, sono in balia di ladri e saccheggiatori. Il Presule afferma che ciò deve esser fatto anche a costo della propria vita; a dimostrazione di queste parole il parroco del Sacro Cuore, vicino alla stazione ove quasi tutte le abitazioni sono state distrutte e gli abitanti sfollati, abbandona anch’egli la parrocchia, ma viene velocemente destituito dall’ incarico. Ma questa costante presenza del clero nelle posizioni più esposte richiede un pesante tributo, infatti don Vito De Nicola, parroco di S. Maria delle Grazie di Mercato S. Severino, il canonico Bonavoglia di Eboli e, infine, don Felice Ventura, parroco di S. Margherita di Pastena, con due suoi parrocchiani Matteo Rufolo e Michele Greco, periscono sotto le macerie delle loro chiese”.

“Dopo il 31 di agosto la città acquista un aria sempre più spettrale, è oramai deserta e tra le macerie abbandonate non c’è quasi più nessuno, se si eccettua qualche sacerdote, soldati tedeschi, che hanno il loro comando presso l’albergo Montestella o italiani, appartenenti questi ultimi alla 222° Divisione Costiera, comandata dal generale Don Ferrante Maria Gonzaga marchese del Vodice.Contemporaneamente a Salerno, il 21 giugno ’43, viene bombardata anche Battipaglia, e l’importante scalo ferroviario. La stazione viene ridotta in un ammasso di ferri contorti e nella cittadina si registrano 117 vittime civili. Nei successivi bombardamenti Battipaglia viene completamente rasa al suolo tanto da meritarsi da Norman Lewis l’appellativo di “Guernica italiana”.

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