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La dialettica di San

"Ho dovuto passare un anno nel salotto di casa a guardare la televisione e come tutti, quando siamo a casa, pensiamo a tantissime cose"

Marco Rarità

“Ho dovuto passare un anno nel salotto di casa a guardare la televisione e come tutti, quando siamo a casa, pensiamo a tantissime cose”. Forse parte da qui la storia tra Sannino e la Salernitana, su quel divano a Lu, tra poco più di mille anime nel Basso Monferrato. Sul bancone del Seci Center c’è una sciarpa granata per lui, la prende e guarda la stampa, poi la ripiega e controlla di aver silenziato il cellulare. Nella sua semplicità è anomalo Beppe Sannino, inespressivo quanto basta in volto, spesso chiude la mano in un pugno e la porta all’altezza del naso, ascolta, guarda, poi parla: apre le braccia, le muove, indica, allena già in conferenza.

Quello che dice passa sotto i riflettori, anche le frasi più banali, quelle condite dalla felice circostanza di allenare la Salernitana, dalla sua voce sembrano uscire come dei segreti da confessare. Ed è così che nasce il percorso di Beppe. “Qui ci si aspetta sempre di più ma a me è sempre piaciuto vivere un giorno da leone, se devo rischiare lo voglio fare dove c’è calcio”. Prende fiato quando capisce che la prossima domanda non è per lui, ma non trasmette nessuno stress nelle risposte da dare, tranquillo, equilibrato, a volte sorride. “Io sono stato sempre un fatalista, nella mia vita mi ha sempre accompagnato il fato, era tutto scritto, è successo qualcosa e ora mi trovo qui, su questa panchina, dove ho sognato di allenare”.

Non parla di quello che può dare ma di quello che si potrebbe fare con gli altri, è presto per parlare del campo ma sul prato ci vorrebbe già stare, lì con i suoi uomini: l’architetto, l’ingegnere, il muratore, il portiere e quello che aspetta il postino. “Devo dimostrare a me stesso e alla città che merito la Salernitana” dice parlando di quello che sarà, di quella sfera magica che non ha mai avuto per il futuro, poi finisce il tempo delle domande ed entrano le nuove maglie.

Lui fa spazio, si piazza sulla sua sinistra e guarda le divise, poi chiama Donnarumma. Nella fretta di lasciare i riflettori il suo cellulare è rimasto sul bancone, “me li passi?” il primo “sacrificio” chiesto alla punta, Alfredo sorride, prende telefono e un pacchettino che il mister custodiva e glieli porge. Si aggiusta la giacca e forse ripensa a quel salotto di casa, si riparte: “Era tutto scritto..”

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