di Marco Rarità – “Que aquí estamos de presta’o” avrebbe detto Pau Donés, sospirando in un neanche tanto caldo pomeriggio di giugno mentre Salerno vive un’altra pagina di storia. Quante ne ha viste questa squadra, dal nazismo alle guerre, crisi, tragedie, pandemie, tra il XX e il XXI secolo il pallone ha cambiato materia ma non sostanza. Un compleanno del genere, in questo scenario storico, lo avrebbe disegnato alla grande Peder Mørk Mønsted, il realista danese che sulle nostre coste ci ha vissuto proprio agli albori del ventennio. Come la “sua” donna a Ravello, la Salernitana l’avrebbe immaginata con un manto granata e una tela da completare, sulle sponde di un antico porticato, a far le pulci al tempo calcolando ogni dettaglio in un frenetico finale di una folle stagione. Ce lo ricorderemo per sempre questo campionato, lo avremmo fatto comunque, e l’ultimo “particolare” non sarà un dettaglio nella storia da raccontare. L’ombra sul futuro c’è, come sempre quando si parla di pallone, ancor più affascinante se c’è la Bersagliera, come il “chiaroscuro” di Magritte, come Degouve de Nuncques mentre disegnava quella “casa cieca”, in un simbolismo d’altri tempi la storia della Salernitana è tutta lì. Un gioco di luci ed ombre, lampi e buio, mai un sussulto di sereno, perchè o vivi tutto o non la vivi per niente. Bella sì, lo sarà ancora, anche quando sarà cattiva, perchè statene certi lo sarà. Lucente, quasi ansiogena, come la donna gioiello di Klimt, fatale, senza tutto quell’oro in bacheca ma con migliaia di sogni da realizzare, milioni di abbracci e tutti sospesi come la rosa di Dalì. Nessuno dei tifosi della Salernitana ha avuto la possibilità di decidere per quale squadra tifare, è stato preso e basta, ha visto lei e basta. Ebbene, ora sul calendario c’è scritto centouno, pensateci, che storia pazzesca, è anche la vostra.
