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La “Gestapo democratica” sentenzia la Movida

L’opinione di Pasquale Petrosino | Una sorta di nuova inquisizione verso chi vuole tornare a vivere con le dovute precauzioni

Pasquale Petrosino

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di Pasquale Petrosino

C’è̀ una luce. L’unica, in fondo al tunnel lungo e buio che stiamo attraversando ancora. Ma è una luce misteriosamente brillante, piena di vita. Una luce che ci permette di ritornare a vivere, con le dovute precauzioni certo, ma ritornare a vivere.
Kant, l’esploratore più infaticabile dei misteri del modo unicamente umano di stare al mondo — alla cui sapienza noi tutti, in qualche modo, siamo debitori, eredi entusiasti o disperati —, nella Critica della ragion pratica ha scritto una frase celebre: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me». Il “cielo stellato” indica ciò che è oltre la portata umana, la nostra capacità di affronto; e la “legge morale” indica i dilemmi tra cui gli umani sono condannati a scegliere. Ma più di un secolo prima di queste parole, Blaise Pascal aveva approfondito proprio quella straziante e terrorizzante inadeguatezza: «Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita dall’eternità che la precede e da quella che la segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo, inabissato nell’infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, ora piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per volontà di chi questo luogo e questo tempo sono stati destinati a me?». L’“insicurezza esistenziale” è scolpita indelebilmente nel modo di essere al mondo dell’uomo. Insicurezza che prende vita e diventa pericolosa in contesti sociali come quello in cui stiamo vivendo, governato dalla vera incertezza e dalla profonda paura dell’altro.
Il primo riflesso è, proprio questo la “paura dell’altro”. Il sentimento di “insicurezza” deriva da una miscela di incertezza e ignoranza: ci sentiamo umiliati perché inadeguati al nostro compito, e la conseguenza è il crollo della stima e della fiducia in noi stessi. È qualcosa che riguarda tutti. Ora, “gli altri” — in particolare quelli che classifichiamo come sconosciuti, estranei o stranieri — sono particolarmente fecondi nel rafforzare un sentimento del genere.
Ciò che trasforma gli altri in pericoli — pericoli spaventosi, terrificanti, proprio per la loro riprovevole impossibilità a essere identificati — è l’assenza di una conoscenza reale delle loro intenzioni e del loro codice di comportamento. Ci mancano le competenze che servono per affrontarli in modo adeguato e per rispondere alle loro mosse. L’altro diventa il virus possibile. Il “viandante sospetto” che deve essere cacciato, bloccato ed inseguito.
Chi è ? che fa? non può! questo il dialogo dilagante in cui siamo finiti. La libertà, quella con coscienza, viene messa a dura prova in un periodo dove, volendo ritornare a vivere, riappropriandosi della propria esistenza si riaffaccia una sorta di “Gestapo” democratica che vigilerà sul buon andamento delle regole imposte. Ed è qui che uno Stato mette ai piedi della democrazia il proprio fallimento. Ciò che non riesce a far capire con il buon senso ed il dialogo, lo impone con figure che non sanno né di “pesce”e e né di “carne”, ma semplicemente di aborto democratico.
Colpire chi viola le leggi ed i decreti non vuol dire colpevolizzare chi vuole rirendere la propria vita in mano, dopo che il Covid-19 ha cancellato per sempre mesi che nessuno ci ritornerà indietro.

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