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The Lanzaro job, la carica “nascosta” del leader

Il difensore punto di riferimento del gruppo, ancora in mano a lui le redini del reparto arretrato

Marco Rarità

A 12 anni lo zaino pesa di meno, soprattutto se è pieno zeppo di maglie, pantaloncini, calzettoni e scarpette per giocare a calcio. L’Autostrada del Sole gli apriva gli occhi su Roma e quella cameretta a Trigoria non sembrava così cupa. E’ una domenica mattina, due mesi prima aveva spento 17 candeline, il calendario segna 9 maggio, siamo nel 1999. Su quel pullman, direzione Piacenza, ci sale anche lui, senza barba e con i capelli lunghi.

“Ah ragazzì, vedi che giochi eh!” uno spintone alla spalla, era la voce di Francesco Totti. Ma Maurizio non gli credeva, “gli piace scherzare” pensava, poi sulla panca degli spogliatoi sente il suo nome nell’elenco dei titolari letti da mister Zeman. “Allora è vero” e gli tremavano le gambe. Da quel giorno una vita intera, passata nella parte bassa del rettangolo verde, diagonali, coperture, anticipi, spallate, “tieni la linea”, “scappa”, “copri” e ancora “non farlo girare”, “è mio”, “è palla Signore”. Le voci del calcio, le voci di Maurizio Lanzaro, lì al centro della difesa granata dove quello che non dice è quanto di più importante.

La notte del 21 marzo è una di quelle in cui non servono parole. Lo zaino pesa di più e la Salerno-ReggioCalabria apre gli occhi su Catanzaro. Un viaggio lungo, oltre il calcio e una vita spesa per quel sogno. Oggi la B con la maglia granata ha un sapore diverso, gli occhi puntati non sono un problema. Vale più ciò che non si dice, Maurizio Lanzaro lo sa, come quando ha riportato personalmente il pallone a centrocampo due volte a Brescia. “Ripartiamo” ha detto ai compagni.. con uno così lo zaino pesa di meno.

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